L'attesa

30.03.2023

Il sonno della ragione genera mostri  (Francisco de Goya)



"Ma volevo raccontarle come ho lasciato il corpo per la prima volta... esiste un'antichissima dottrina occulta, vecchia quanto la stirpe umana, che è stata tramandata oralmente fino ad oggi, pochi infatti la conoscono. Essa ci insegna in che modo oltrepassare la soglia [...]

Attraversai una boscaglia, percorsi un sentiero bianco e liscio, i miei piedi non avevano alcuna percezione del terreno, e se volevo toccare gli alberi e i cespugli attorno, non riuscivo ad afferrarne le superfici. [...] I contorni delle cose che percepivo sembravano molli [...]. Giovani uccelli implumi dagli occhi tondi e irriverenti, pingui e gonfi come oche da ingrasso, erano appollaiati in un enorme nido e strillavano verso di me, un giovane capriolo ancora incapace di reggersi sulle zampe eppure così grasso e grande come un animale adulto, sedeva pigro nel muschio e voltò verso di me la testa pesante... C'era un'indolenza da rospo in ogni creatura che mi capitava di vedere.

A poco a poco mi resi conto dove mi trovavo: in un Paese, così vero e reale come il nostro mondo eppure solo un suo riverbero, il regno dei doppi spettrali che si nutrono della sostanza delle loro forme originarie della Terra, doppi che le depredano per alimentare se stessi fino a trasformarsi in mostri, tanto più quelle si struggono nella vana speranza e nell'attesa della felicità e della gioia. [...]

Proseguii il cammino e giunsi in una città affollata. Molte persone le avevo incontrate sulla Terra, e mi rammentavo le loro numerose speranze fallite e come, di anno in anno, camminassero sempre più curve e che tuttavia non volevano strapparsi dal cuore il vampiro, quel demoniaco Io, che divora la vita e il tempo. [...]

Con orrore mi resi conto che tutta la mia vita era consistita in ogni possibile forma di attesa e solo di attesa, una sorta di perenne dissanguamento, e che tutto il tempo che mi era rimasto per percepirlo erano solo ore. Quanto avevo fin li ritenuto l'essenza della mia vita, esplose davanti a me come una bolla di sapone...

Io le dico, tutto quanto compiano sulla Terra comporta sempre una nuova attesa e una nuova speranza, tutto il creato è impregnato dell'alito pestifero del morire di un presente appena nato. Chi non ha mai provato quella spossatezza snervante che ci coglie quando stiamo seduti nella sala d'attesa di un medico, di un avvocato, di un ufficio? ... Ciò che chiamiamo vita è la sala d'attesa della morte. Allora, all'improvviso mi resi conto di cosa è il tempo e che noi stessi siamo forme fatte di tempo, corpi che sembrano materia e che non sono altro che un coagulo di tempo. E il nostro progressivo appassire fino alla tomba, trascorso nell'attesa e nella speranza, che cos'altro è se non un continuo diventare tempo, così come il ghiaccio sottoposto al caldo sfrigolando diventa di nuovo acqua!

Quando in me si risvegliò questa consapevolezza vidi un tremore scuotere la figura del mio doppio e che l'angoscia gli turbava il viso. Allora seppi cosa dovevo fare: lottare fino all'ultimo sangue con quei fantasmi che ci succhiano tutto come vampiri!

Oh, loro sanno benissimo perchè devono rimanere invisibili agli uomini e si nascondono ai loro sguardi, questi parassiti della nostra vita; anche la meschinità più grande del diavolo è fare come se non esistesse. E da allora ho eliminato per sempre dalla mia esistenza i concetti dell'attesa e della speranza! 

Diventi qui sulla Terra come un automa, un morto apparente! Non cerchi di cogliere un frutto invitante se a questo gesto è collegata una pur minima attesa, non faccia nulla, e tutto, una volta maturo, le cadrà in grembo. Al principio è come peregrinare attraverso desolati deserti, spesso per lunghi periodi, tuttavia a un tratto si farà chiaro attorno a lei e vedrà tutte le cose, sia quelle belle che le brutte, sotto una luce nuova, inattesa. Allora non ci sarà più qualcosa di importante e qualcosa di futile, ogni cosa che accadrà sarà al contempo importante e futile e a questo punto lei sarà reso immune dal sangue del drago e potrà dire di se stesso: navigherò nel mare senza sponde di una vita eterna alzando una vela candida come la neve!"


- Frammenti tratti dal racconto  "La visita di Johann Hermann Obereit nel paese delle succhiatempo"  di Gustav Meyrink -




Questo brano dello scrittore fantastico, nonchè grande occultista ed esotresita Gustav Mayrink ( >>> ), si abbima molto bene all'immagine di questa elegante e  bellissima dama che pare sospesa nel tempo, in eterna attesa. Molto suggestivo anche questo ritratto dell'autore (foto storica tratta dal web, autore sconosciuto).

Fotografare è sempre un mezzo per esplorare ed indagare il mondo dentro e fuori di noi: il mondo esterno ovvero i soggetti, ed il mondo interno, ovvero il fotografo e la sua anima, le sue sensazioni e la sue visioni, e l'abbinamento di questa particolare fotografia con queste parole, apparentemente un po' sinistre e criptiche, ci introduce ad una lettura un po' alternativa della realtà che ci circonda, ci stimola a rflettere ed indagare, almeno è questo il mio intento, ed anche il significato del mio fotografare.

Io sono sempre più convinto che siamo tutti vittime di un grande equivoco, o meglio di un grande inganno, e questo inganno è stato subdolamente installato proprio nella nostra testa, nella nostra mente, tramite la manipolazione del linguaggio.

Con l'invenzione di due parole come Realtà e Fantasia, vengono definiti arbitrariamente due termini di misura tramite i quali giudichiamo la nostra esperienza nel mondo come plausibile o non plausibile, soprattutto giudichiamo le esperienze che ci vengono tramandate da altri come storia o come miti o leggende. 

E' come se guardassimo il mondo attraverso una griglia, un filtro polarizzatore per rimanere in gergo fotografico: alcune cose passano e le definiamo reali, altre non passano dalle maglie della griglia, perchè siamo abituati, programmati, a vedere solo quello che passa dalla griglia, siamo programmati a vedere (riconoscere) soltanto degli schemi, tutto quello che non rientra nello schema mentale che abbiamo in testa, è come se non lo vedessimo, pur avendolo fisicamente davanti agli occhi.

Quindi in estrema sintesi, quello che viene etichettato come fantasia o racconto fantastico, o mito o leggenda, non viene percepico come una possibile realtà ma solo come effimera invenzione a carattere ludico, al contrario quello che viene etichettato come realtà assume un valore concreto su cui organizzare la nostra quotidianità, ovvero assume il rango di verità.

Ma... perchè c'è sempre un ma... se ci avessero ingannato, invertendo il vero significato dei termini ? Un semplice ma efficacissimo giochino linguistico con cui screditare la verità faccendola passare per fantasia, e dare invece credito e autorità ad una lettura del mondo iarbitrariamente nventata, chiamandola realtà, con tanto di istituzioni accademiche e scientifiche che ne avvalorano il culto .... ?  E se alcuni scrittori e artisti particolarmente abili avessero sfruttato questa griglia per farci pervenire dei messaggi che diversamente sarebbero stati censurati o ridicolizzati, superando le maglie della griglia solo grazie all'abito esteriore di "racconto di fantasia" ?  Sarebbe un gran bel trucco: fregare il nemico con le sue stesse armi!

E' solo una mia ipotesi, una stravagante ipotesi, che però da tempo mi frulla per la testa e trova un antico riverbero nelle sibilline parole di Eraclito:  "grazie alla sua incredibilità la verità si sottrae alla conoscenza" ... bel dilemma su cui meditare!



Credits:

in foto:  Rita Delvecchio   >>>

evento  Carnevale Gotico   >>>

presso Palazzo Facchi - Brescia   >>>

organizzato da  Ombre d'Arte - Associazione Culturale   >>>