Ex ospedale psichiatrico di Vercelli

17.02.2024


Un brivido ghiacciato corre sempre lungo la schiena visitando questi luoghi, questi enormi e spettrali strutture tra le quali aleggia un silenzio di timoroso rispetto, ben sapendo che queste mura fatiscenti nascondono terribili storie da raccontare, fatte da strazianti urla di dolore e di disperazione, vite soffocate, esistenze tormentate. Questi luoghi trasmettono una freddezza agghiacciante, e insidiano le nostre certezze minando alla base i fragili recinti della nostra ipocrisia quotidiana, quella cosiddetta normalità, quel piccolo orticello nel quale ci trinceriamo a coltivare a testa bassa le nostre illusioni.


Questo è l'ex manicomio di Vercelli, luogo nel tempo teatro di fatti particolarmente macabri, dove l'essere umano ha avuto modo di esprimere tutta la malvagità della sua natura terrena, protetto dalla complicità di queste mura, che non solo mura di cemento, ma anche mura di omertà e complicità. Nel Maggio del 1945 in questo luogo vennero fucilati e buttati dalle finestre una settantina di prigionieri fascisti per mano di alcuni partigiani, altri vennero fucilati ed altri ancora vennero letteralmente schiacciati sotto il peso di un autocarro. Qui venne ricoverata anche la famosa poetessa Alda Merini, per una decina di anni dal 1962 al 1972, e venne sottoposta ad elettroshock senza anestesia come punizione per essersi ribellata ai crudeli metodi di "cura" utilizzati sui pazienti. Negli anni '60 il direttore dell'ospedale venne denunciato per atteggiamenti violenti nei confronti dei pazienti e del personale.

Questi luoghi erano "zone franche" dove, in nome della scienza, venivano perpetuate torture fisiche e psicologiche che altro non erano che lo sfogo della cattiveria umana, pura malvagità medicalizzata, erano "riserve" dove isolare dalla puritana civiltà borghese tutti coloro che potevano turbare l'ordine morale precostituito, o mettere in discussione i suoi fondamenti, veri e propri lager per dissidenti sociali, che erano in uso nella nostra civile società fino a solo qualche decennio fa. Si chiamava pazzia tutto ciò che era anticonformista, disagio o estrosità, ed era un attimo, bastava poco, pochissimo, per finire in un vortice perverso che ti trascinava la vita in un incubo infinito, e che ti avrebbe distrutto l'anima !

Oggi rimangono solo questi spettri di cemento a silente testimonianza, tenuti ancora inaccessibili alla nostra coscienza collettiva, mostri nascosti che dormono ai margini delle nostre città, un monito da tenere ben presente, macigni sulle nostre coscienze, ben sapendo che anche oggi moderne forme di schiavitù si annidano nelle zone buie della nostra quotidianità. Ho alternato le immagini ad alcune frasi della poetessa, sento doveroso un omaggio ad un'anima tanto sublime. 

Un grazie particolare all'amica Simonetta Vinciguerra, che ha interpretato queste immagini.