Luci d'autunno in Val Ceno

05.11.2025

Quando ti chiedo chi sei,
raccontami la musica che hai ascoltato,
gli incontri che ti hanno stupito,
le occasioni che hai sprecato,
i fiumi che hai risalito.
Allora saprò chi sei.

- Fabrizio Caramagna -


Centinaia di volte sarò passato da questo luogo, lungo la strada che, risalendo la Val Ceno verso Bardi, dopo l'abitato di Varsi scende verso il fondovalle del Ceno per giungere infine ponte sul fiume, dopo il quale una lenta risalita porta a Bardi. Qui, appena prima del ponte, si può scendere facilmente al fiume, c'è anche un comodo parcheggio tra le frasche ed un piccolo bar aperto d'estate, nella "bella" stagione infatti il luogo è molto frequentato. Facile, troppo facile, e per questo l'ho snobbato per tanti anni.

Ma qualche giorno fa no, di primissimo pomeriggio mentre viaggiavo verso un'altra meta sono stato letteralmente folgorato da una visione, proprio in una curva si è aperto all'improvviso uno squarcio su questo tratto di valle che mi ha convinto ad accantonare la mia meta e fermarmi qui, giusto  per passare un paio d'ore in contemplazione, camminando e fotografando lungo il greto del fiume, come amo fare da sempre.

Complice qualche nuvola passeggera che spennellava ombre a chiazze qua e là, sono riuscito a catturare queste immagini e a trascorrere alcuni momenti che spiegarli a parole è cosa ardua, forse impossibile. Immagini semplici, niente di particolarmente ricercato, nessuna inquadratura troppo studiata o espozioni particolarmente creative, solo istinto ed immediatezza, la bellezza della semplicità! Ma soprattutto il piacere di essere li, la bellezza di queste immagini è proprio questa, il piacere che si prova nell'essere li a scattarle, e poi il ricordo che rievoca il riguardarle. 

Forse solo chi ama passeggiare lungo un fiume, respirare il tepore di una calda giornata d'autunno, chi sa aprezzare il giallo vibrante delle ultime foglie, le forme contorte dei rami secchi e delle pietre a terra, il rumore dell'acqua che inesorabilmente cambia sè stessa ad ogni istante, lasciando solo l'impronta del suo passaggio nella ghiaia, solo chi "pratica" può immedesimarsi e percepire le sensazioni quasi afrodisiache di pace e di comunione che si possono vivere in queste occasioni.



"Nel primo momento di ogni esperienza, prima che sopravvenga una reazione, c'è solo pura percezione. Il prana coinvolto in questo puro sperimentare è il prana della saggezza primordiale, l'energia sottostante l'esperienza, prima o senza che sopravvengano l'attaccamento. Questo momento è molto breve, un lampo di esperienza pura di cui di solito non siamo coscienti. Quello a cui pensiamo come alla nostra esperienza è la reazione a questo momento, l'attaccamento."  

(Tenzin Wangyal Rimpoche - Lo yoga tibetano del sogno)


Per quanto mi è possibile,  percepisco questi momenti di pura esperienza come momenti di incanto dove il tempo sembra non esistere più, e mi lascio trascinare spesso e volentieri in questi "stati alterati" di coscienza, cercondo di dilatarli e di viverli quanto più appieno possibile con la consapevolezza di vivere qualcosa di prezioso e straordinario.  L'atto stesso del fotografare, per quanto mi riguarda,  penso faccia parte di questo processo, parte integrante dell'esperienza in sè, al di là del raggiungimento o meno di un determinato risultato tecnico od artistico, tant'è che poi, riguardando le foto a casa, spesso mi chiedo cosa avessi voluto fotografare, cosa aveva catturato così tanto la mia attenzione o, meglio, cosa mi aveva sedotto così fatalmente, perchè le tracce di quell'esperienza non sempre riverberano nelle immagini ottenute. 

Mi rendo conto che spesso le immagini possono sembrare banali, insignificanti o superficiali, e spesso per poter vedere lo stesso luogo con una sufficiente dose di obiettività, devo tornarci più e più volte, per vederlo sempre con occhi nuovi e soprattutto con stati d'animo diversi, altrimenti le fotografie sarebbero troppo "soggettive", troppo legate ad un'esperienza personale. non sempre comunicabile. Ma forse è propgio questo il bello dell'arte e della fotografia, onguno può costruirsi il suo mondo ideale a sua immagine e somiglianza, prendendo pezzi del mondo reale e trasfigurandoli in simboli personali.

Fatto stà che questo discorso scivola sul terreno dell'illusoria dicotomia tra oggettivo e soggettivo, perchè in realtà, per quanto ne è la mia esperienza, oggettivo e soggettivo, interiore ed esteriore, sono confini fluttuanti, sono in realtà  due mondi fluidi che si compenetrano e si modellano vicendevolmente, come fosse un dialogo continuo. Il mondo oggettivo ed esteriore influenza le nostre percezioni ed il nostro equilibrio interiore, e viceversa le nostre predisposizioni interiori influenzano e modellano la nostra esperienza del mondo esteriore. In questo modo anche il termine "realtà" diventa aleatorio, e ci sarebbe da ragionarci sopra per bene.

Per questi motivi penso che molti luoghi che amo e raffiguro possano sembrare incantevoli e carichi di significato per me, ma allo stesso tempo  banali ed insignificanti per molti altri, e le fotografie pure. Ho spesso questa sensazione per cui mi pare spesso di entusiasmarmi per nulla, mentre tutt'attorno i miei apparentemente simili mi fissano con sguardi di sufficenza o di indifferenza. Spesso mi sento un po' un pazzo, ma poi ragionandoci sopra, e soprattutto guardandomi attorno, penso sia molto meglio così: preferisco di gran lunga sentirmi un po' pazzo piuttosto che conformarmi alla venefica normalità.


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